Sesso fra gay muscolosi
Sergio, 16 anni, figlio di un operaio e di una casalinga di una borgata di Roma. Capelli lunghi, lisci, biondi, corpo sinuoso e conturbante, pelle liscia come la seta. Una peluria folta solo intorno al cazzo e poi nulla. Anche intorno al buco del culo non si vedeva un pelo a cercarlo con la lente d’ingrandimento. Perfino mia sorella mi invidiava. Un corpo così farebbe comodo a molte ragazze. Ma io non ero affatto un effeminato. Ero solo giovane e bello e mi piacevano le ragazze. Mia madre e mio padre stravedevano per me. Ero anche molto intelligente. Intelligente nel senso che a scuola ero tra i primi della classe. I miei hanno fatto sacrifici indicibili per mandarmi alla scuola dei preti, quella frequentata dai figli di professionisti: avvocati, ingegneri, medici ecc.
Desideravano potermi dare un avvenire diverso da quello che avevano vissuto loro. Volevano che diventassi un medico e soprattutto che non frequentassi ragazzi poco raccomandabili come quelli che frequentavano la borgata dove vivevo.
Così, i miei amici erano figli di professionisti, gente con i soldi: Lorenzo, Francesco e Mattia. Mia madre era contenta che frequentassi ambienti altolocati. Io ero un ragazzino ingenuo, candido come la mia pelle. All’inizio Lorenzo e gli altri sembravano dei bravi ragazzi, ma poi cominciarono a manifestarsi per quello che sono, dei farabutti, e soprattutto a coinvolgermi nelle loro malefatte. Prima mi insegnarono a fumare e a bere, poi a fare tardi la notte, a spaccare le vetrine dei negozi, poi mi coinvolsero in qualche furtarello nei supermarket o nei negozi chic di abbigliamento. Per finire si misero in testa di fare una rapina. Naturalmente quello che ci andò di mezzo fui solo io. Mi rincorsero e mi presero, mi portarono in caserma, mi processarono e mandarono in riformatorio. E naturalmente non parlai perché a parlare sono gli infami ed io non lo sono.
Qua dentro la vita è una merda.
Uno come ero io a quella età, un agnellino candido candido lo inquadrano appena varca la porta d’ingresso. È come un dono di Natale, un regalo inatteso per quelli che ci stanno dentro, gente con le zanne al posto dei denti e dalla pelle dura come quella degli ippopotami: ladri, rapinatori, spacciatori e chi più ne ha più ne metta.
Le guardie mi portarono a spintoni nella camerata e mi indicarono il mio letto e il mio armadietto. Mi dissero di tenere tutto in ordine che sennò mi avrebbero punito e che non c’era affatto da scherzare che a loro non l’avrei fatta. Mi dissero di fare il buono e di non dare fastidio, insomma di rigare dritto. Poi mi accompagnarono nel cortile dove i miei compagni di riformatorio passavano il tempo giocando a carte, a pallone o parlottando. Le gambe mi tremavano a solo volgere gli occhi verso di loro, non riuscivo a tenere alto lo sguardo tanto era il terrore che mi incutevano. Me ne stetti così per conto mio con il cuore sospeso in attesa di qualcosa. E quel qualcosa non si fece aspettare.
Si avvicinò uno grosso come un armadio dall’andatura più volgare che io abbia mai visto, brutto come la peste. Si faceva chiamare Tiracollo perché amava tirare il collo alle galline per divertimento. Mi fa: “Aho, che ce fai qua? Come te chiami? Che hai fatto? Mo’ sei de nostri. Qua ce sono delle regole da rispettà, ma se tu righi dritto non te succede niente. Mo’ ce vedemo stasera, allora.”
“Stasera, perché che si fa stasera?”
“Amore mio, stasera ce se deverte!” mi disse e poi mi prese la testa, se la portò al petto con una forza che non riuscii a contrastarlo e all’orecchio mi sussurrò: “Stasera fai il buono che te sverginiamo. Nun te preoccupà. Ce semo capitati tutti. Sembra chissà che, ma è una cazzata, Poi magari te piace pure.”
Mi divincolai con tutta la forza che avevo in corpo da quelle braccia che mi attanagliavano già colmo di terrore al pensiero che quelle parole si potessero tramutare in realtà.
Mi venne in mente quella volta che a casa di Lorenzo portammo Giusi, una nostra compagna di classe. La facemmo ubriacare e poi Lorenzo, Francesco e Mattia se la fecero a turno. Io no, ero troppo candido per cose di quel genere anche se non mi opposi e non la difesi. Avevo paura, mi comportai da vigliacco. Fu una carognata schifosa. Poi la minacciammo pure di altro se avesse parlato. Insomma, rivedevo la faccia incredula, terrorizzata, disperata di Giusi mentre se la fottevano. Due a tenerla ferma e uno a scoparla. Pensavo a come si fosse sentita umiliata.
E adesso toccava a me subire la stessa sorte?
Altri ragazzi nel cortile del riformatorio mi salutavano da lontano, mi facevano l’occhiolino o qualche gesto volgare con la bocca e la lingua. Alcuni si avvicinavano e mi sussurravano qualcosa tipo: “Ce vedemo stasera gioia” o “Sei meio da mia ragazza, sei troppo carino, me piacerebbe essere er primo, ma c’è chi vene prima de me; ahonvedi che culetto, a me me piacciono er ragazze, ma per te faccio un eccezione”.
Mi vennero i crampi allo stomaco. Quasi me la facevo addosso. Raggiunsi i bagni. Avrei voluto chiudermi, ma le porte erano senza serratura. Mi svuotai l’intestino più in fetta che potei. Non potevo rimanere troppo tempo là dentro. Correvo il pericolo che quelli non aspettassero la sera per divertirsi e approfittassero dei bagni per iniziare la festa. Uscendo dal cesso trovai uno che fumava e giocherellava con un coltellino chiudendolo e aprendolo velocemente, con una cicatrice in faccia e con l’aria di essere il peggior delinquente di tutta Roma. Feci un salto indietro per lo spavento.
“Allora?” mi disse.
“Co-co-co-sa?” balbettai.
“Hai capito che vonno fa’ quegli assatanati? Te vonno fare er culo, tutte quanti.”
Il cuore mi salì in gola, non riuscivo a respirare bene, ansimavo, mi vennero un’altra volta le coliche. Mi sporcai le mutandine.
Il tizio si avvicinò quasi addosso a me. Credetti di svenire per quanto mi batteva il cuore. Allungò le braccia e le appoggiò ai lati della mia testa imprigionandola e cominciò lentamente e a bassa voce a dirmi: “Io qua comando. Se io dico na cosa, quella cosa è Bibbia. O vedi sto coltellino. Qua dentro ce lo posso avè solo io. E guardie a me me lo permettono perché io mantengo l’ordine e a loro va bene così.”Ansimavo a fatica, occhi rossi e lucidi. Come mi poteva salvare? Era quello il mio salvatore?
“Tu vo’ essere sarvato?”
Annuii decisamente con foga.
“Allora devi fa quer che te dice Rasoio.”
Annuii ancora aspettando le sue parole.
“Tu devi diventare a mia ragaza, solo a mia. Te devo toccare solo io e nessun artro.”
“No, non voglio, mi fa schifo, non voglio!” credetti di urlare, ma la voce usciva a stento tanto ero terrorizzato.
Il tizio rimase calmo e continuò a dire: “Come voi. Vor dire che te faranno er culo tutte quante qua dentro. Quanti saranno, na cinquantina? Io dirò a tutte che se vonno te possono fare tutte e vorte che vonno.”
“No, non farlo, ti prego!”
“Basta che tu parli. Io so’ qui per sarvarti, ma qualcosa la devi fare pure tu per me, per me sortanto!”
“Glielo dico alle guardie, vi accuso tutti.”
Il tizio mi guardò con spregio, ritirò le braccia verso di se e disse: “Gli infami fanno a spia. Fa’ quer che vuoi” e se ne andò ridendo e cantando “ce vedemo stasera, bella mia, er cul te faremo tutte quante.” Poi si fermò, si girò e mi disse: “Se ci ripensi, chiedi di me, di Rasoio. Basterà dirmi che vo’ diventare a mia ragazza e tutto se sistema.”
Corsi via con tutto il fiato che potei e andai dritto dalle guardie. Queste mi portarono in una stanza.
Io in piedi, una guardia seduta sulla sedia davanti a me ed una alle mie spalle in piedi.
“Allora, che vuoi?” mi disse quello seduto infastidito più che altro.
Io presi a balbettare, le parole non mi uscivano: “Mi han-no de-de-detto che che che mi vo-vo-vo-glio-o-no vio-vio-len-ta-ta-re.”
Le due guardie presenti si guardarono negli occhi come se si dessero un cenno di assenso.
“Ma che minchia stai dicendo brutto schifoso” urlo quello che mi stava dietro prendendomi un orecchio e cominciando a tiramelo così forte che sentii un dolore indicibile “Queste cose qua non succedono, non sono mai successe e non succederanno mai. Non dire cose che non sono vere!”
“Ma è ve-ve-ve-ro!” dissi piangendo.
L’altra guardia si alzò di s**tto dalla sedia e mi prese l’altro orecchio e insieme me li tirarono altrettanto forte che credetti di svenire: “Non crearci problemi, fila dritto e non venire più a dire queste porcherie. Via via.”
Fui ributtato in cortile. Il viso mi scoppiava quanto era caldo. Dovevo essere paonazzo. I ragazzi nel cortile mi guardavano e compresi che ridevano di me, di quella faccia rossa, della figuraccia che sicuramente immaginavano. Probabilmente loro sapevano come sarebbe finita con le guardie e si burlavano del fatto che avessi sperato nel loro aiuto.
Rimasi fermo addossato al muro del cortile, agghiacciato nella mia disperazione con una prospettiva mostruosa di essere violentato quella sera stessa da una cinquantina di ragazzi mentre le guardie non avrebbero mosso un solo dito per evitarlo.
Cosa potevo fare? Non c’era possibilità di fuga. Forse…Forse l’unica soluzione era Rasoio. Avrei limitato i danni. La cosa era raccapricciante. Lasciarsi scopare da uno per evitare la violenza di molti. Dio mio, piangevo disperatamente guardando i compagni di galera e sperando in un loro sentimento di pietà che mi avesse risparmiato.
Venne uno piccoletto con circospezione, quasi che non volesse farsi notare. Sfuggente si limitò a suggerirmi: “Vai da Rasoio, meglio uno solo.” E quasi scappò.
“Non voglio” risposi piangendo disperato.
“Non fa-fa-fa-re il pirla, vai da Rasoio. È meglio per te” mi disse un altro con un fil di voce.
Avevano ragione loro. Non c’era niente altro da fare. Così, piangendo mi avviai al martirio. Mi avvicinai al capannello di quelli che sembravano comandare. Quando fui abbastanza vicino, il crocchio di ragazzi si aprì e spuntò fuori Rasoio serio e freddo.
“Allora, che voi?”
“Ti de-de-devo pa-par-lare” gli risposi.
“Quer che me devi di, lo puoi di a tutti. Mica abbiamo segreti noi” ribattè tra le risa degli altri.
Quel bastardo mi voleva umiliare fino all’estremo della sopportazione.
“Per me, va va va be-ne!”
“Cosa, non capisco! Devi essere più chiaro. Cos’è che va bene per te?”
Voleva che gli dicessi le parole che mi aveva dettato, pubblicamente. Bastardo.
“Vo-voglio fa-farlo so-solo con con te.”
“Non era questo quer che t’avevo detto de di. Ti ricordi meglio?”
Strinsi i denti e fiatai: “Vo-vo-vo-glio di-diventa-tare la tua ra-ra-raga-zza.”
Finalmente sorrise soddisfatto. Mi si avvicinò, mi abbracciò, mi baciò sulla testa e disse: “Bravo, sei uno che capisce. Non te ne pentirai.” Poi si rivolse agli altri e disse: “Questa è a me ragazza.” E tutti annuirono in silenzio.
Io speravo che la sera non arrivasse mai, ma poi giunse mio malgrado.
Eravamo ognuno dentro i nostri letti e si aspettava che le guardie spegnessero le luci. Tutto sembrava tranquillo e, in cuor mio, speravo che fosse solo una burla. Non poteva essere vero che..”
Le luci si spensero e rimase solo la penombra, ma abbastanza per vedere attorno. Il cuore salì a battermi all’impazzata. Pregai Gesù che fosse solo uno scherzo.
Silenziosamente invece si alzarono e si avvicinarono al mio letto. Erano tutti quelli della camerata. Pietrificato rimasi abbattuto sul letto con gli occhi sgranati pieni di paura presagendo un senso infinito di orrore e di vergogna.
Vidi di fronte a me Rasoio serio e tranquillo. Intorno, un silenzio irreale.
Rasoio ordinò di aiutarmi ad alzarmi.
Sembrava che aiutassero un malato. Non avevo la forza di reggermi in piedi.
“Dai, poveretto, aiutiamolo.” Dicevano.
Poi si avvicinò Tiracollo. Con mia sorpresa mi incoraggiò: “Oh, dai, nun te preoccupà, mica è a fine der monno” e mi diede un buffetto sulla guancia e mi accarezzò i capelli.
“Dai aiutatelo a spogliarse.”
Furono molto gentili e garbati. Cercavano di aiutarmi, uno a togliermi la maglia del pigiama, un altro a scendere i pantaloni, ma delicatamente, con dolcezza, un altro la canottiera.
“Te senti più carmo?” mi chiese uno che già aveva la barba lunga con sincero interessamento.
“Non fatelo, lasciatemi stare” li implorai.
Tiracollo mi sollevò il viso dal mento con garbo e mi disse per tranquillizzarmi a modo suo:”T’ho detto di non preoccuparte. Ce pensiamo noi, nun te preoccupà, stai carmo”.
Ero rimasto in piedi con le sole mutande a coprirmi mentre già udivo degli apprezzamenti: “E’ proprio bello, bell’assai, un fiore, complimenti.” Qualcuno tentò di toccarmi, ma il solo sguardo di Rasoio lo bloccò.
Il bastardo si era riservato l’onere di sfilarmi le mutandine. Più le faceva scivolare giù, più mi sentivo innalzare un sentimento di vergogna e di pudore. Rimasi nudo sotto gli occhi di tutti, dai quali mi sentivo guardato con il palese desiderio di potermi possedere. Chissà perché in quel momento mi vennero in mente mia madre e mio padre. Credetti di vederli sul letto accanto al mio pieni di vergogna per la fine del loro amato figlio. Su un altro letto vidi Lorenzo, Francesco e Mattia fottersi dalle risate di me, per quello che mi stava capitando.
“Che ber culo, mamma mia, Rasoio sei fortunato a fattelo. È proprio bello.”
“Si è proprio un ber culetto” rispose Rasoio girandomi a trecentosessanta gradi per farlo vedere a tutti “Sei fortunato ad avere er culo così bello, sei na bella ragazza” mi sussurrò baciandomi il collo.
Ad un cenno di Rasoio i ragazzi mi aiutarono a distendermi sul letto, sempre con molta grazia, mentre rasoio si calava i pantaloni. Si sfilò le mutandine lasciando ciondolare il suo coso già mezzo dritto. All’idea di quel coso dentro di me sentii lo schifo più immenso.
“Che aspettate, ditegli come se deve mettere”.
I ragazzi mi aiutarono a posizionarmi sul letto.
“Mettiti alla pecorina, Sergio, così e così” mi suggerivano “Appoggiati sui gomiti… allarga le cosce un po’…”
Provai una vergogna senza fine quando capii che il mio culo era alla vista di tutti fino al buchetto. Strinsi istintivamente le chiappe per togliere almeno il mio fiorellino dalla vista di quei bastardi mentre Rasoio si piazzava dietro di me.
“E dai, apri questo ber culo che è no spettacolo, nun te vergognà. Se hai un culo così bello non te devi vergognà anzi è un merito, Facce contento, te prego, nun ce fare soffrì, fallo per me.”
Di Rasoio avevo una paura tale che allargai senza tentennamenti le natiche docilmente e tutti si avvicinarono per guardar meglio. Tutti esclamarono un oh di piacere e si prodigarono a farmi i complimenti.
“Non ho mai visto un culo così. Senza neanche un pelo, neanche nel buco, è favoloso.”
Improvvisamente sentii una mano gelida sul culo. s**ttai.
“Carma, carma” mi dissero “È la mano di Rasoio. Lui può. Questi erano i patti” dissero.
Dovetti lasciarlo fare anche se mi sembrava di morire dalla vergogna.
Mi palpava le natiche, mi sfiorava il buchetto. Anche lui aveva delle mani lisce e soffici. Si sarebbero scambiate per quelle di una ragazza. Non si stancava di toccarmi il culo, di sfiorarlo con le dita, credo che me lo abbia baciato e poi leccato, ribaciato, sfiorato, riaccarezzato in tutte le parti, fino ai testicoli. Se lo voleva imparare a memoria. Ero profondamente in preda alla vergogna per quella situazione, toccato da un maschio in mezzo a tanti altri maschi che assistevano e guardavano eccitati. Molti si calarono i pantaloni e le mutande e presero a masturbarsi.
C’era però qualcosa che non avevo previsto, che non potevo prevedere: che quelle carezze, quegli sfioramenti, quei baci e quelle leccate mi potessero.. infondere un piacere imprevisto, nuovo, incontrollabile. Non avrei mai potuto immaginare quanto fosse sensibile il mio sederino e quanto fossero piacevoli le sensazioni che mi dava. Mi sarebbe seccato molto dare a vedere specialmente a Rasoio che godevo; certamente una goduria non voluta, non cercata, istintiva che avrei certamente evitato. Per questo cercavo di rimanere impassibile anzi rafforzavo i miei singhiozzi mentre i miei improvvisi s**tti corporei nei momenti di massimo piacere li dissimulavo come senso di fastidio.
“Non ho mai visto na ragazza più bella de te”.
Il fatto che Rasoio si rivolgesse a me al femminile mi umiliava ancora di più. Io sono maschio e voi potete capirmi, era insopportabile. Poi cominciò a tastarmi ogni parte del corpo: le cosce, le braccia, il petto, i capezzoli, il collo e anche il cazzo. Mi baciò sul collo e negli orecchi. Non fosse stato lui potrei dire di non aver mai provato una dolcezza più intensa.
Poi all’orecchio mi sussurrò: “Amore mio, me fai impazzì, sei troppo bello” questa volta usò il maschile e la cosa, quanto meno, mi piacque “Voglio entrarti dentro, non ce la faccio più”.
Arrivò così il momento che più temevo. Stavo per essere inculato. Mio padre e mia madre che immaginavo stessero ancora a guardare piangenti il proprio figliolo come se andasse al patibolo piangevano mentre io colpevole nei loro confronti chiedevo loro perdono. Tutto una visione della mia mente. Forse quella era la giusta punizione per il dolore che gli avevo dato, a loro che non mi avevano mai neanche sculacciato.
Tiracollo posizionò il suo viso fronte al mio. Mi disse di stare calmo con molta gentilezza. Mi accarezzò i capelli e mi disse che sarebbe andato tutto bene. Mi disse di stringere con i denti un fazzoletto che uscì dalla tasca dei pantaloni. “Se provi dolore stringi i denti, sarà solo questione di un attimo, poi passa tutto.”
Due altri ragazzi si misero all’altezza delle mie cosce. Me le divaricarono quel tanto che a loro sembrava perfetto e mi chiesero di chinare la schiena e sollevare il culetto.
Penso che a quel punto Rasoio si sia risistemato dietro. Un ragazzo che si masturbava venne dicendo: “Nun ce la facevo più.”
Un altro sarebbe venuto da lì a poco.
Rasoio disse qualcosa e a quel punto vidi che i ragazzi a turno si avvicinavano. Credo che ognuno sputasse un po’ di saliva sul mio buco e sul suo cazzo. Rasoio spalmava la saliva e sul mio culo e sul suo cazzo. Quando mi infilò un dito nel culo mi eccitai al punto che aprii la bocca ed il fazzoletto mi cadde dalla bocca. Tiracollo me lo rificcò in bocca.
Rasoio mi puntò il cazzo contro il buco. Speravo che s’infilasse senza problemi. È una sensazione unica immaginare quello che succede dietro di te mentre stai per essere inculato la prima volta. Ogni gesto di lì dietro cerchi di interpretato, di immaginatelo. Voli con la fantasia. La paura del dolore insieme con un senso di vergogna sono intercettati da sensazioni incontrollabili, Sembra che dal buco del culo passino tutte le sensazioni del mondo: dolcezza, piacere, goduria e follia, vergogna e senso del pudore. Mi immaginavo in quella posizione e capivo di avere il buco del culo all’aria, il mio culo aperto e pronto. Non avrei mai immaginato dopo tutti i pianti di quella giornata che adesso aspettavo di essere inculato quasi in trepidante attesa. Ero curioso di capire quale altra sensazione di piacere mi poteva offrire il mio bellissimo sederino. E nell’attesa aprivo ancor di più il culo e spazientavo. Dentro di me mi dicevo “Sbrigati, sbrigati maledetto”.
La cappella di Rasoio si appoggiò sull’ano. Sotto il cuscinetto, il mio culo aperto poteva assaggiare la punta affilata, tagliente pronta a farsi largo, a discrepare la buia cavità protetta dall’ano.
Singhiozzai per dovere, per non dare a capire che ero eccitato e pieno di curiosità. Rasoio chiese ai ragazzi di avvicinarsi di nuovo: “Guardate, con la saliva er buco è ancora più bello, tutto rosa luccicante su questa pelle bianca e candida come a neve.”
“Mizzica, aho, Rasoio, te sta a fa er più ber culo de tutto er monno.”
In cuor mio lo sapevo di essere un bel ragazzino, ma di essere così appetibile no. E poi non immaginavo di avere un culo così bello. Quasi quasi avevo la curiosità di vedermelo.
Sentii la cappella di Rasoio riappoggiarsi sull’anuccio mio e la punta già fremere per trapassarlo, un leggero dolore si formo nel cerchio dell’ano, ma molto leggero.
Devo veramente dirlo per onestà, quei ragazzi non mi hanno mai fatto sentire veramente violentato. Erano stati tutti carini con me, gentili, garbati e anche Rasoio ci andò con tutte le grazie.
“Nun te voglio fa’ male. To presso a poco a poco, così.. va bene?”
“Grazie!” risposi singhiozzando falsamente.
Lui pressava a poco a poco e anche il dolore che provavo andava aumentando a poco a poco e non era affatto bello. Lo sentivo che l’ano non ce la faceva ad allargarsi, si rifiutava di farsi passare da quel cazzo.
“È troppo grosso, non ci entra, lascia perdere” gli dissi con il fazzoletto in bocca sperando che rinunciasse.
“Ce passa, ce passa, nun te preoccupà” mi disse Tiracollo come per volermi tranquillizzare.
Rasoio prese a pressare con più forza, con qualche colpo cercava di vincere la resistenza del mio piccolo ano che lottava per non lasciarsi scardinare da quel matterello.
“Ahi, ahi, mi faccio male”.
“Stringi i denti, stringi i denti” mi suggerì Tiracollo mentre mi consolava accarezzandomi il viso ed asciugandomi le lacrime di dolore.
I ragazzi si avvicinarono per cogliere ogni momento dell’inculata e soprattutto l’attimo dello sfondamento. Qualcuno comunque venne subito per la troppa eccitazione.
“Mo’ te faccio vedere come entra” disse Rasoio e diede un colpo micidiale.
Sentii perfettamente l’ano dilatarsi all’inverosimile, vinto da una forza più grande, trafitto dal cazzo di Rasoio. Il dolore che provai fu talmente grande che se non avessi avuto quel fazzoletto in bocca mi sarei morso la lingua. Mi sentii aprire tutto il culo come se si fosse aperta una voragine nel di dietro.