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.Orchidea elvetica – settima parte.

“MALOCCHIO!MALOCCHIO!!HAHAHAHAHA!!!” questa lapidazione verbale era l’afflizione cui Franco detto “Malocchio” veniva assoggettato ogni giorno, sin dai tempi delle elementari.
Il suo soprannome derivava dallo strabismo exotropico di cui era affetto e non tolleravo le angherie cui era sottoposto: considerando che era piccolo e gracile, era una facile preda da parte degli altri.
Durante la ricreazione, vidi un bambino di qualche classe sopra, prenderlo di mira: costui era Emanuele detto “Lelefante” per via della struttura fisica imponente; il terrore che gli altri scolari nutrivano nei suoi confronti lo rendeva il soggetto regnante dei corridoi scolastici.
“Allora Malocchio, caccia la merenda o te le caccio. Tanto considerando che il panino lo vedi doppio, se te ne prendo uno non sarà un problema, no?”
Franco, che solitamente era piuttosto taciturno, stavolta aprì bocca e la nerbata dall’accento pugliese che ne uscì fu un semplice: “Vaffanculo, fijo di puttana.”
Il suo persecutore non replicò verbalmente, ma le sue mani furono piuttosto eloquenti: prese subito il malcapitato per i capelli scrollandolo come un polipo appena pes**to; tutt’ intorno un gruppetto di piccole iene, si godevano la vista del leone che sbrana la gazzella.
Per il dolore causato dalla trazione ai capelli, Franco perse il panino e il bulletto esclamò “Sei un sfigato, hai fatto cadere il mio panino al salame!” .
La situazione era pessima e quella prepotenza puzzava di merda; avvertii il mio amico Pasquale che passava di lì e gli dissi: “Pasqui, quelli della terza B stanno rompendo il cazzo a Franco”.
Procedemmo verso di loro per dividerli e Lelefante iniziò a strattonarsi con Pasquale; Lelefante gli mollò uno sganassone e lo spinse contro il muro; io sfruttando la distrazione, cintai la testa del ciccione e Pasquale dopo essersi rialzato, iniziò a prenderlo a pugni sulla schiena.
I pugni sulla schiena provocano un dolore impensabile e non lasciano segni visibili di colluttazione come quelli in faccia, per cui se un rivale dava la schiena, non potendo rifilare un classico castagnone in pancia, si mirava alle spalle.
Lelefante era malfermo sulle gambe e quando cadde, non esitammo a prenderlo a calci sulle gambe e sulla schiena: frequentare la piazza e vedere come i grandi risolvevano le questioni, ci aveva ben addestrato. Ci contenemmo comunque, perché se gli avessimo timbrato un occhio un pugno, una sospensione con relativa fila di calci in culo da parte dei nostri genitori sarebbe arrivata sicura come la dissenteria per un turista occidentale in India.
Finimmo di dargliele quando un mio compagno di classe che faceva da palo, ci avvertì che il prof. di matematica stava per passare di lì. Giusto il tempo di rimettere il coglione in piedi, intimargli di mordersi la lingua con i professori e levarci dal cazzo lesti come dardi.
Al termine dalla tempesta, domandai a Franco se stava bene e lui replicò: “Potevo sfangarmela a cazzi miei senza che vi metteste di mezzo” e si infilò in aula dietro al suo banco.
Pensai che fosse un bastardo irriconoscente, ma anni dopo afferrai perché questa introversa pulce dall’ indole di granito, si comportava in questo modo.
Franco era figlio di un pezzo grosso della mala foggiana e terminate le medie inferiori, seguì il padre nella terra d’origine e dopo il liceo scientifico, frequentò un’ università ottenendo una doppia laurea in scienze economiche e in spaccio e sfruttamento della prostituzione.
La parola “debolezza” in un ambito simile, era qualcosa da depennare se si voleva sopravvivere in mezzo a tante bestie feroci.
Franco mantenne il soprannome per propria scelta, modificandolo in “Occhiatura”che meglio si adattava al contesto di provenienza ; “Occhiatura” era temuto e pericoloso, freddo e violento, carico di una crudeltà non comune. Una sola curvatura verso il basso della sua arcata sopraciliare poteva sgomentare anche il più spavaldo dei suoi bravi.
Quando decise di acquistare il palazzo dove abito insediandosi all’ultimo piano, la quiete mortifera del quartiere fu sconvolta dal suo arrivo e nemmeno i balordi locali tentarono di contestare l’instaurarsi della sua monarchia criminale.
All’ultimo piano l’anziana signora M*nell*, fu sfrattata dal proprio alloggio e con la complicità di un medico di base corrotto, fu spedita in una Residenza Socio Assistenziale.
Ella non ebbe mai il coraggio di denunciare, perché Franco “Occhiatura” le spiegò velenosamente che ci avrebbe messo poco a prelevare la sua giovane nipote ex-tossica dalla comunità, farle una pera e costringerla a lavorare per lui ai confini della città.
Il palazzo iniziò a svuotarsi , lasciando spazio alle “protette” di Franco: l’andirivieni di cocainomani in cerca di qualche riga di ebbrezza nasale e di puttanieri dalla patta indurita, era insopportabile.
Poi qualche giorno fa, una mora mozzafiato dall’aspetto sudamericano elevata da un paio di sandali con tacco da vertigini, mi blocca mentre torno dal bar e mi chiede: “Salve, potrebbe darmi una mano che ho forato una gomma e non so come cambiarla?”.
In un misto di altruismo, ormoni in agitazione e un ignorante senso di superiorità automobilistica maschile, mi faccio condurre dalla bella fata smarrita verso la sua auto.
L’auto in questione non era un catorcio come quella del sottoscritto, ma un bolide sportivo rosso scarlatto da abbinare a rossetto e smalto, che non immaginavo nemmeno di veder posteggiato nei pressi dell’arida distesa suburbana dove vivo.
Mi inginocchiai vicino al pneumatico a terra notando che non c’è un foro da oggetto appuntito, ma un taglio largo da lama sul lato esterno.
“Ha beccato una bella ciopponata da qualche vandalo bilioso” pensai.
L’ aspetto magnifico della ragazza deconcentrava le mie riflessioni di detective fai-da-te: la pelle bronzea, i capelli ricci e corvini che a cas**ta precipitavano fin sulle spalle, contornavano un viso di una delicatezza tale, che non avrei avuto nemmeno il coraggio di sfiorare con le mie rudi zampe di falegname.
Il suo corpo era un tortuoso curvare di forme che sembrano l’opera di un ispirato scultore classico impegnato a dedicare una statua alla più bella delle dee dell’olimpo.
L’aspetto procace e il suo profumo gradevole di cui polsi e collo erano intrisi, mi stordivano e intravedevo sotto la maglia, dei capezzoli molto sporgenti pizzicare il tessuto ribellandosi al reggiseno.
L’idea che sotto i jeans stretti non indossasse lingerie, destò il mio sesso che prometteva da un momento all’altro di slanciarsi al di fuori dei confini di tessuto in cui i boxer lo relegavano.
Riacquistando le facoltà mentali, esclamai: “Ok, tiro fuori il necessario dal baule e sistemiamo tutto” e come aprii il cofano dell’auto, sentii schiudere le portiere di due vetture parcheggiate a pochi metri da noi.
Ne sbucarono cinque energumeni dall’aria scarsamente pensante ma inquietante, i cui fisici XXL credo faticassero a restare chiusi in un’auto che non fosse un Suv: considerando la rapidità con cui saettarono fuori dagli abitacoli, qualcosa mi diede da intendere che sono stato io ad innescare la circostanza.
Invero, iniziarono a convergere verso di me e tra loro spiccava un sesto elemento in versione pocket dai capelli ricci neri che fisicamente ricordava Nino Davoli, ma con un occhio strabico e dallo sguardo da far impallidire perfino Gengis Khan.
Fulminai con la mente “Cristo, è Malocchio!” e non potei nemmeno sgattaiolare, perché oltre ad aver prorogato inutilmente la condanna di qualche ora, l’avrei fatto incazzare di più.
L’ imbos**ta subita mi candidò al Nobel per l’idiozia : servirsi di una bella ades**trice per compiere un delitto, era un trucco vecchio come la novella di Sansone. Sfiga vuole però, che non possedendo la forza di quest’ultimo, non potevo far altro che deglutire saliva e ostentare ai miei boia una parvenza di coraggio.
“Allora kumbagnë, dopo una vita ci si rincontra! Hai visto che pizz di ciann che tò mandat,eh?! Ascoltami: quel palazzo è mio e tra un po’ anche il quartiere, tanto che questa via potrebbero chiamarla via Franchino Occhiatura. L’unico inquilino rimasto nel palazzo a rompere il ciddone sei tu e considerando che quell’immobile me lo son comprato, mi dispiace dirti che qui non si affitta più e che ti conviene cercarti un altro alloggio. Visto che, quando eravamo ragazzi, mi hai aiutato contro quell’infame che cercava di farmi il panino, ti concedo gratis ‘sta ciann per un’ oretta e tra una settimana ti voglio fuori da casa. Ti conviene farlo Kumbagne, perché la prossima volta che ci vediamo, non ti mando una ragazza, ma uno di questi qua dietro a romperti il didietro, mi sono stato spiegato?”
Le gambe raggelate erano segno che mi ero lasciato una pennellata Bruno Van Dyck nelle mutande; nel paiolo delle mie sensazioni terrore, debolezza e irritazione, erano le tre (dis)grazie che a turno martellavano la mia mente.
La bella protetta di Franco esclamò: “Allora, saliamo da te o preferisci in motel?” e io le risposi con un timido “D-da me, seguimi…” ,voltando le spalle a quel moderno Don Rodrigo, alla fuoriserie e ai due sgherri intenti a sostituire il pneumatico sabotato.
Il forte malessere procuratomi in quel frangente, non fu d’aiuto alla mia libido: avevo voglia di far sesso quanto d’esser chiuso in una gabbia con un Grizzly affamato.
Mi sentivo come una moglie pestata a sangue cui il marito chiede scusa donando dei fiori: il mio orgoglio leso per via di quella prevaricazione, non era sanabile nemmeno con il più prezioso dei doni.
Disgraziatamente non potei declinare il regalo, perché l’elementare ottusità di quelli come Franco era piuttosto prevedibile e se avessi rispedito quella prostituta da dove era venuta, avrei abbreviato di parecchio sia la mia permanenza in casa, che la mia vita.
Buona sorte vuole che nel mio appartamento di neo-single tutto era in ordine , ma fino a un giorno prima era una steppa di polvere, libri, fumetti e dischi mal impilati su ogni superficie. Tutto questo scompiglio fu una sorta di rivolta mentale alla compulsiva mania dell’ordine di Stefania che per anni mi aveva crocifisso.
Lei si guardò attorno smarrita, presumibilmente avvezzata a tutt’altro target di clientela e gli occhi le restarono inchiodati su un disco dei Big Bad Voodoo Daddy, per cui esclamò: “ vudù…è qualcosa tipo magia nera ,bestie di Satana o quelle cose là?” .
Di fronte a cotanta genuina dabbenaggine, arginare una risata fu impossibile e il riso mi scardinò la mandibola tuffandosi fragorosamente fuori dalla mia bocca.
Lei sorrise un po’ e io guardando i suoi magnifici occhi scuri, le dissi : “ No, non c’è nulla di diabolico o simile, fanno solo swing in modo un po’ moderno. Hai presente Duke Ellington o Benny Goodman?”
E lei “Chi? Ehm, io ascolto Nek ,Neffa,Ramazzotti…” e di fronte a tanto analfabetismo musicale, decisi di inserire il CD nel lettore dando il PLAY.
La sezione fiati nel pezzo di apertura “Jumping Jack” esplose dalle casse acuta e arrogante, supportata da un pestaggio sul timpano della batteria che lascia pregustare la frizzante epilessia neo-swing dell’orchestra Californiana.
La musica e i suoi sorrisi mi rincuorarono un po’ e lei restò ad ascoltare attentamente la musica, poi guardandomi e piegando la testa su un lato esclamò: “Beh, mi piace non la conoscevo…io ti piaccio però? Non mi hai nemmeno sfiorata in ascensore…”.
Io non le dissi niente, le palpai un seno baciandola e lei senza esitazione, sbottonò i miei jeans ed estraendone il contenuto, si ingoiò dopo un paio di sù e giù, il mio pene fino alla base.
Una volta in fondo, pennellò lo scroto con la lingua e un leggero filo di saliva, discese sui testicoli. Io le tenni ferma la testa e iniziai a muoverle il pene dentro la sua gola e dopo un paio di colpetti, la lasciai andare.
Lei sollevandosi perse un eccitante filo di bava dalle labbra ed eccitatissimi, ci baciammo impetuosamente.
Una domanda mi attraversò la mente e fu: “Una dea con un corpo simile, con un posteriore tanto perfetto, gradirà fare sesso anale?”(continua)

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.Orchidea elvetica – parte terza.

Lei si separò dal pene e deglutì un orgasmo copioso e memorabile.
La mia fronte era imperlata di sudore e un senso di semi-narcosi mi avvolgeva in un abbraccio caldo.
Mi risistemai svogliatamente e lei mi scortò alla mia auto; ci scambiammo i numeri, la voglia di rincontrarci era grande.
Circa una settimana dopo in un luminoso pomeriggio d’agosto, optammo per una passeggiata al parco di Monza e riprendemmo a parlare sondandoci vicendevolmente .
Lei si chiamava Giulia,era divorziata e nella vita faceva l’infermiera in un reparto di neuro- psichiatria infantile. La stimai grandemente per questa scelta, ne evincevo una certa prestanza d’animo. Credo che la sua propensione a sdrammatizzare a colpi d’ilarità, fosse un disperato meccanismo di difesa ad un lavoro che poteva annichilire i nervi anche della persona più psico-nerboruta .
Sentimentalmente parlando, la voglia di rimettersi in gioco era forte per ambedue e nel frequentarci stavamo puntando tutte le nostre fiches sulle nostre rispettive roulettes. Sperando di essere più fortunato in amore che nel gioco, avevo in cuore la stessa trepidazione che nutrivo da ragazzino alle prese con le mie prime storie d’amore.
Non ci volle molto perché mi invitò a casa sua per un caffè.
Non dimorava troppo lontano dal luogo dell’appuntamento e comunque l’avrei seguita anche in capo al mondo.
Giungemmo al suo appartamento: oggetti da ogni parte del globo rendevano alquanto vivace l’ambiente e le guide turistiche sugli scaffali, confermavano un certo interesse per viaggiare.
La quantità di libri che ci attorniava era apprezzabile, segno di una sana bulimia intellettuale che contrastava con un’era a mente morta come la nostra.
Lei mi invitò ad abbandonare scarpe e calze all’ingresso e seguii i suoi deliziosi piedini muoversi verso la cucina.
Mi accostai al bordo del tavolo, contemplando i gesti rapidi con cui scomponeva la moka: il suo culetto tondo si agitava sensuale nello spazio circostante e circa un metro più sotto, ella si rialzava graziosamente sull’avampiede per raggiungere un barattolo di caffè sito su di uno scaffale fuori dalla portata delle sue mani.
Mi lanciai alle sue spalle per agevolarla , appoggiandomi involontariamente a lei: le porsi il barattolo e ci scambiammo un’ occhiata svelta che per me fu un’ abbagliante fotografia fatta con la mia mente, che immortalò tutta l’ avvenenza del suo viso.
Quel dolce triangolo formato dai suoi occhi e dalla sua bocca, furono fatali: mi stavo innamorando nuovamente di una donna.
La baciai istantaneamente e lei sorridendo mi ringraziò arrossendo; ella finì di caricare la caffettiera e dopo aver acceso il fornello, appoggiandosi al piano della cucina e irradiandomi con un sorriso magnifico, cinse il mio torace e iniziammo a conversare inframezzando con brevi baci.
Capivo che per come si stavano mettendo le cose, dopo il caffè avremmo consumato qualcosa di ancor più caldo.
La caffettiera in ebollizione pungeva i nostri nasi e riempiendosi di scuro tagliò momentaneamente quel filo di tensione erotica che ci stava congiungendo fino a qualche secondo prima. Sorseggiammo caffeina inabissati nel divano del salotto e vedere le sue labbra rosee sbaciucchiare la tazzina, ristrinse repentinamente il nodo che si era costituito tra noi.
Lei depose la chicchera su un tavolino attiguo al divano e si estese con il corpo lungo quest’ultimo, tenendo le braccia intrecciate dietro la testa.
I suoi piedi gravavano sulle mie cosce e il pene era tanto eretto, da sbucare dai pantaloni mirando all’ombelico e ritraendo parzialmente il glande.
Iniziai a carezzarle il collo del piede sinistro , poi con ambedue le mani salii lungo le cosce. Lei trascinò i piedi verso i suoi glutei fino a piegare le gambe; le ginocchia erano approssimate tra loro e i piedi convergevano con le punte.
Io di risposta, le disgiunsi le sue cosce e ci scivolai in mezzo, facendole sentire il mio sesso irrigidito contro il suo.
Ci baciammo focosamente , intrecciando le nostra lingue lasciviamente; lei si interruppe e mi sussurrò: ”Tira fuori la punta della lingua.” Io non afferrai i suoi intenti, ma la accontentai ed ella iniziò a succhiarla come per una una fellatio.
Io la lasciai fare e quando fui bastantemente stuzzicato, mi dissaldai da lei e le chiesi di mettersi a carponi inarcando leggermente la schiena a livello lombare: ciò che ne derivò fu il contrarsi di due natiche sodissime, curve e perfettamente separate. Per l’azione, i pantaloni le si erano impetuosamente calati e potevo adocchiare un sensualissimo perizoma nero affacciarsi dai jeans.
Le sbottonai i blue-jeans e nell’ abbassarglieli i glutei le balzarono fuori dal tessuto, facendo sparire il perizoma tra di loro; con lentezza le calai quest’ultimo fino a scoprirle completamente le parti intime: un delicato ano roseo stava al terminare della la sua incantevole orchidea che ora con maggior chiarore, potevo venerare in tutto il suo carnale prodigio.
Le distanziai le grandi labbra che facevano da sipario ad un piccolo clitoride inumidito di linfa femminile e senza esitazione, la gustai tuffando interamente il mio viso entro i suoi glutei.
La udii ansare e la mia bocca era colmata del suo sesso; il mio naso terminava nella vagina, inumidito sulla punta; poco più in sù, il suo ano si contraeva di tanto in tanto, accompagnando gli impeti di piacere che riceveva dal mio lambire.
Lei principiò a prenderci gusto e mosse il suo sedere altalenandolo sul mio viso ,poi spostò una mano dal divano per metterla sulla mia nuca premendo il mio volto contro di sé.
Io che tenevo le mani sui glutei, li lisciai diverse volte, poi mi separai , le detti la sculacciata e la morsi con passione.
Lei accettò quello stimolo con piacere e in seguito non resistetti dal penetrarle l’ano con la punta della lingua un paio di volte.
Lei si voltò e sorridendo disse “…dai,scemo…” ,mi alzai e finii di svestirmi: il pene sbalzò fuori dai pantaloni sbatacchiando lateralmente contro le mie gambe.
La penetrai da quella posizione, stringendole il culo tra le mani, con una gamba poggiata sul divano l’altra al suolo. Il pene le scivolò dentro senza troppe difficoltà, avvolto dalla sua accogliente vagina.
Lei schiuse la bocca di piacere e per me fu lo stesso: quel connetterci anatomicamente era insieme all’orgasmo, uno degli attimi più gradevoli del rapporto e provare assieme tali percezioni, è qualcosa che crea una magica e unica affinità tra uomo e donna.
Iniziai a spingere con il bacino in un accrescere di intensità, fino a stabilizzarmi su di un ritmo alquanto sostenuto. Lei gemendo teneva il capo verso il basso, con la sua morbida chioma che come i rami di un salice sfiorato dalla brezza, scendevano svestendole il grazioso collo.
Io le presi i capelli delicatamente, raccogliendo una coda di cavallo; lei reclinò il capo all’indietro e io spinsi il pene ancora più vigorosamente dentro lei. Ella tra un sospiro e l’altro disse : “Vai avanti…non fermarti, ti prego…” e io le ubbidii .
Le Passai i palmi sotto la maglietta scivolando con le dita sotto il reggiseno, circondandole i seni con i palmi e li strinsi prudentemente tra le mani. Lei gemette forte di piacere e andò avanti per circa un minuto, trascinata dall’orgasmo che la stava portando verso un vortice di estasi erotica. Io sentivo stanchezza nelle gambe, per cui decelerai per fermarmi e variare posizione.
Lei si sedette ed io finii di spogliare il suo piacentissimo corpo: il suo fisico fine era estremamente in forma, la pelle era come velluto sotto le mie palme e nulla aveva da invidiare a ragazze più giovani.
Le sue gambe sottili mi facevano impazzire e bramavo esserne avvinghiato, scivolando tra di esse.
(continua)

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.Orchidea Elvetica – parte quinta.

“Cucù! Hai visto ke poi ti ribecco sempre!!! Scommetto ke stai facendo la troia con qualche inpotente intellettuale di quelli ke piaciono a te. Giulia quando scopro dove stai imbos**ta ti porto via di peso e saranno cazzi tuoi!!!!!!!!”.
Spero che questo sms serva a ficcarle in quella zucca marcia che non ho voglia di giocare e che sono arci stufo di correrle appresso come fa un pallettone Montefeltro verso il culo di una lepre; se non fosse per Stefano che lavora nella Polizia Postale, l’avrebbe probabilmente scampata la stronza!
Quando Ste traccerà il segnale della mia ex moglie, piomberò in quella periferica casupola da poveracci in cui si è ficcata e le farò capire una buona volta che nessuno pianta in asso Fabio Asm*d*i. Fabio Asm*d*i non porta i pantaloni, Fabio Asm*d*i è nato con i pantaloni!
Scommetto che Giulia in quel lercio tugurio passerà il tempo ad ascoltare quei dischi da negri con cui mi insozzava i timpani ogni giorno, fino a quando raggiunta la soglia critica di tolleranza, ho sabotato il lettore CD per mettere fine a quello sfondamento di coglioni inesprimibile.
Inoltre, non più riesco a reggere l’oltraggio cui mi ha sottoposto Giulia il giorno che ha deciso girare i tacchi: dover sostenere gli sguardi imbarazzati di clienti e amici che sanno che mia moglie mi ha piantato, mi fa sentire un ritardato mentale e nessuna femmina ha il diritto di trattarmi in questo modo.
Grazie al mio amico tra poco le farò visita e considerando che ho un sacco di amici e clienti tra i suoi colleghi, se non faccio troppe cazzate, sarà difficile che io possa passare qualche grana.
Se è vero come dice il Liga che “ho capito che la paura rende soli”, le farò terra bruciata intorno: sarà così disperata per la solitudine che tornerà da me in ginocchio, annegando nelle lacrime della più tetra disperazione.
La paura è l’arma invisibile più potente che l’uomo abbia mai creato.

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Una maschera beta-bloccante ammanta il mio malessere, coprendo l’angoscia che impietosamente segna il mio viso.
Giusto i momenti spensierati della pausa caffè con i colleghi e le facezie del dottor Riv*ldi, mi risollevano un po’ il morale letteralmente decapitato dall’ ansia.
Non ho ancora acceso il telefono dopo l’sms di Fabio e probabilmente Dario mi starà cercando; a poter tornare a quella notte luganese, eviterei di coinvolgerlo nella mia vita di latitante coniugale.
Un ex-marito geloso e aggressivo è una minaccia non solo per me, ma anche per un nuovo partner e non reggo l’idea che possa capitare qualcosa a Dario.
Fabio era figlio della meschinità e dell’ incoerenza: la goccia che fece traboccare il vaso fu quando mi propose di fare un giro in un privé per fare uno scambio di coppia.
Il primo locale in cui mi accompagnò, mi convinceva poco in fatto di prevenzione: chiesi a Fabio di tornare a casa perché dal punto di vista sanitario, gli avventori del posto mi fornivano scarse garanzie di sicurezza e l’idea di contrarre qualche malattia a trasmissione sessuale, non mi allettava minimamente.
Giungemmo quindi ad una soluzione migliore: entrammo in un’associazione di scambisti gestita da una coppia di piacevoli cinquantenni molto benestanti, che metteva a disposizione ai soci la propria villa sul lago di Garda per serate a base di sesso.
La prevenzione contro le malattie era esplicitata nello statuto e prima di accedervi, fummo “esaminati” dal consiglio dei soci.
Era un sabato sera quando sexy ed eleganti, arrivammo alla villa per la prima volta e consegnati gli esiti dei test-sierologici , ottenemmo il permesso definitivo di unirci agli altri.
Io non ero gelosa di Fabio e considerando la mia bisessualità, gli chiesi se aveva intenzione di condividere con me una delle astanti. L’idea mi venne perché sorpresi sul suo pc un filmino porno in cui 2 giovani donne, condividevano un bel biondino statuario assaporando eccitate il suo enorme cazzo fremente orgasmo che nel finale, eruttava del bollente sperma sui visi delle due damine eccitate.
Ci scambiammo un’occhiata sensuale con una venere bionda accompagnata da un bel moraccione olivastro che farebbe perdere la testa a tante donne nord europee con una fissa per il ruvido e virile tipo mediterraneo.
Dopo quattro chiacchiere con i due e stabilita l’ intesa, decidemmo di venire al sodo.
Ci appartammo in una stanza e io e la bionda dopo esserci spogliate, iniziammo ad incrociare lascivamente le nostre lingue distendendoci su di un bellissimo letto in stile 1600; il corpo atletico e il seno generoso della ragazza che premeva contro il mio,irroravano il mio sesso come mai mi era capitato prima; se poi ci si aggiunge il pensiero che Fabio e il bel moro si sarebbero uniti a noi, raggiunsi un livello tale d’eccitazione da farmi tremare le mani.
Fabio seduto sul bordo del letto ci guardava infiammato sbottonando la camicia velocemente, segno che non vedeva l’ora di raggiungerci.
Io e la donna ci avvicinammo facendolo alzare in piedi, ci posizionammo inginocchiate rispettivamente davanti e dietro di lui: lei che intravedevo tra le gambe di Fabio, gli fece una fellatio e io divaricandogli delicatamente i glutei, iniziai a leccare la zona perineale.
Lui poggiò le sue mani su entrambe le nostre teste e il suo respiro divenne profondo: capivo che lo stavamo mandando in paradiso e probabilmente dentro di se, c’era in atto una prova di forza tra la sua mente e la prostata che rischiava di esplodere in un orgasmo.
Ahimé, lei sapeva il fatto suo e sentii gemere Fabio quando ella ingoiò per intero come una fachira con una spada, il suo durissimo membro.
Fabio si mosse divincolandosi da noi ,ci sdraiammo tutti sul letto e la ragazza si inginocchiò a gambe divaricate sul suo viso, godendosi tutto il piacere che lingua le dava.
Lei cavalcava il viso di Fabio rivolta verso di me ed io dopo averla baciata, mi spostai verso il fondo del letto e presi in bocca il pene del mio ex compagno restando a carponi.
Sentii alle mie spalle una serie di rumori famigliari: strusciare di tessuto, suole che battono a terra e la fibbia di una cintura tintinnare al suolo. Smisi di succhiare il pene di Fabio, utilizzando solo la mano per stimolarlo e mi voltai: il moro era a pochi metri da me, completamente nudo.
Aveva un fisico magro e statuario: le sue ossa erano un’impalcatura naturale di perfezione maschile.
Era il classico uomo che al mare, uscendo dall’acqua, attira tutti gli sguardi incantati delle astanti che si domandano se quello che stanno vedendo è reale o un colpo di Sole.
Pur non superando in altezza il metro e ottanta, le perfette proporzioni del suo corpo, la pelle brunita e l’ispido villo scuro sul suo petto mi lasciarono letteralmente senza fiato, a tal punto che quasi dimenticai di continuare a dedicarmi a ciò che stavo facendo.
Il moro era fisicamente l’antitesi di Fabio, che invece si era adeguato alla tendenza odierna che vede il maschio andare dall’estetista al pari di una donna. Fabio per quanto bello, non aveva quella ruvidezza primordiale che il mondo maschile stava perdendo: il moro era una reliquia sacra della bellezza maschile perduta.
Lui si abbassò con il viso verso i miei glutei, scostando i suoi capelli corvini e mossi dalla sua fronte; dopodiché infilò il viso tra le mie natiche e sentii le sue labbra succhiare il mio clitoride.
Io per l’eccitazione ci misi poco ad avere il primo orgasmo e non mi regolai con la voce; Fabio non fece una piega e non si era ancora reso conto di quel che stava accadendo.
Il moro mise un piede sul materasso e con il suo bellissimo pene ambrato, invase il mio corpo.
Le energiche piacevoli spinte che mi donava talvolta mi toglievano il fiato, tant’è che rimanere concentrata sul pompino che stavo facendo era piuttosto difficile, specie se un’ elettrocuzione orgasmica ti sta per folgorare di piacere.
Non riuscii a trattenere un grido, che fu un acuto degno di Maria Callas che purtroppo, fu l’inizio della fine di tanta poesia erotica. (continua)

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.Orchidea elvetica – sesta parte.

Fabio sentendomi venire, scostò dal suo viso la ragazza e nel palesare quel che era successo, andò su tutte le furie.
Io avevo candidamente supposto che avesse acconsentito allo scambio senza remore, spogliandosi di ogni gelosia per il piacere del sesso e per costruire qualche buona amicizia.
Avevamo abbracciato lo statuto dell’associazione e Fabio stava per contravvenire nel peggiore dei modi ad uno dei punti cardine non solo del regolamento,ma dello scambismo.
“Oi, ma che ti prende?!” urlò il moro di fronte all’ incollerita reazione di Fabio; quest’ultimo senza dire una parola, smontò dal letto e gli diede una spinta.
Io e la ragazza ci scagliammo verso di loro per dividerli e in cuor mio stava gemmando un senso di smarrimento ed imbarazzo da levare il respiro.
La lite fu alquanto chiassosa e mise in allarme le camere adiacenti, le cui anime piombarono celermente sul posto per sedare quanto stava accadendo.
Fabio dall’alto del suo ben allenato metro e novanta di taglia, era un soggetto piuttosto problematico da domare:fronteggiando il moro,afferrò un abat-jour e sradicandola dalla presa, colpì l’uomo in pieno volto spedendolo a terra, ferito.
Successivamente , un uomo piuttosto rotondo cercò audacemente di interporsi tra i due per evitare che Fabio potesse infierire ulteriormente sul rivale esanime, ma lui di risposta gli prese la testa tra le mani e gli assestò una testata in pieno volto forte come la martellata di un fabbro.
“FABIO TI PREGO, BASTA!” fu l’unica cosa che mi uscì di bocca e lui esordì con un’assoluta novità nel nostro rapporto: mi prese per i capelli e mi diede una sberla da un megatone.
Crollai come un burattino cui vengono recisi i fili; quando il cervello si riavviò, la prima cosa registrata dai miei organi di senso, fu il calore di una coperta. Ero in un letto ed il tepore piacevolissimo che avvertivo, stava per rimandarmi da Morfeo.
Quando avvertii una sensazione di bruciore e gonfione alla guancia sinistra, aprii lentamente le palpebre e vicino a me, una donna ed un uomo si animarono chiedendomi:“Si sente bene,signora?”.
Un bell’uomo brizzolato dagli occhi chiari con un piacevole accento calabrese, poggiò le dita ai lati della mia gola e guardando l’orologio mi chiese: “Ha capogiro? Dolore alla testa o nausea?” ed io risposi “No, solo un gran male al viso e un po’ di acufeni”.
Dopodiché la donna lì vicino, disse “Signora, quando si sente meglio, ho bisogno di fare quattro chiacchiere con lei.”
Io di risposta dissi: “ La prego mi perdoni, non pensavo potesse…” e lei interrompendomi “Signora, lei non c’entra niente, infatti abbiamo allontanato suo marito che è stato denunciato. Sono avvocata e mi occupo di molti casi di violenza sulle donne e ho visto tante persone come lei caricarsi delle colpe dei propri mariti. Non si colpevolizzi per cose che non ha commesso, anche lei è una vittima in questa situazione.”
Io replicai: ”Guardi, è la prima volta che lo fa, ha solo perso la testa…” e lei prima che potessi proseguire, affermò: “Si inizia con una prima volta e poi non c’è più fine. O meglio, la fine c’è, ma non è per niente lieta. Mi ascolti: pensi bene al suo matrimonio e valuti se è il caso di continuare a vivere con suo marito. Consideri che il suo coniuge era talmente alterato, che in attesa che arrivassero le forze dell’ordine, siamo stati costretti a chiuderlo in uno stanzino che tra le altre cose, ha devastato in preda ad una furia inaudita.”
A quel punto miss Esame di Coscienza, fece un gelido scanning del mio rapporto di coppia: Fabio era tirannico, possessivo e collerico.Un mix che lo rendeva pericoloso.
Tutte le mie amicizie, maschili e femminili, le smarrii nel giro di un anno di fidanzamento per sua volontà.
Le scenate di gelosia per presunti sguardi ad altri uomini o donne, si sprecavano.
Gli episodi rissosi per bisticci futili con il vicinato o in auto, erano ignobili manifestazioni del suo testosterone deragliato.
Mi sentivo ottusa ad aver confidato che con lo scambio di coppia,lui fosse finalmente cambiato. Gli uomini raramente cambiano e una belva antropica come Fabio non si poteva ammansire.
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“Giulia, dove cazzo sei?!” risuonava nella mia mente.
Il mio più grande pregio (…o difetto) era quello di essere ostinato: difficilmente nella mia vita mollavo di fronte a qualche difficoltà.
Sono il classico soggetto cui è meglio non sottoporre un rompicapo, perché potrei dire “goodbye, sonno!” nel tentare di risolverlo.
Decisi dopo 2 settimane, di fare la follia di andare da Giulia per chiarire la faccenda di persona e non nascondo che un suo addio, sarebbe stata una desolante freccia nel petto per me.
Dopo una buona doccia che mi ha levato di dosso i residui di 8 ore di segatura e sudore da lavoro, mi fiondo in direzione Cinisello Balsamo, dove Giulia risiede.
Parcheggiato il mio macinino Renault nei pressi della sua palazzina, passo dinanzi ad un’auto parcheggiata che attira subito la mia attenzione, considerando che non solo era stata vandalizzata da due vistosi buchi circolari in una fiancata, ma era anche l’auto di Giulia.
“No, qui non è stato usato un trapano o un piccone. Questo ha proprio l’aria di essere opera di una cannonata. Qualche John Wayne di periferia, ha tirato fuori il ferro.”
Restai allibito e non ci voleva Maigret per collegare l’accaduto con l’ sms che l’aveva scossa tanto due settimane fa.
All’improvviso un tremulo “ciao” mi coglie alle spalle.
Mi voltai ed era lei, intorpidita come una bambina che è in attesa di una sfuriata incancellabile dopo una marachella.
Io per la sorpresa, mitragliai un: “Giulia scusami, erano giorni che tentavo di chiamarti, ma senza nemmeno una risposta da parte tua, mi ero preoccupato da morire…”
Lei non fiatò, mi corse incontro e mi stritolò tremando come un ufficio nipponico durante un sisma.
La paura le aveva fatto visita e ciò che le aveva portato in omaggio, non era nulla di gradevole.
Entrammo a casa sua e ci stringemmo sul divano a corde vocali disattivate.
Quell’abbraccio mi faceva bene perché anche io sciaguratamente, avevo ricevuto la stessa ospite…(continua)

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.Orchidea elvetica – quarta parte.

Il mio corpo era schiacciato contro il suo e ne avvertivo bollore e delicatezza.
Dopo averla penetrata e trovato buon sostegno con i piedi sul divano, cominciai a spingere con il bacino flessuosamente e lei coordinandosi al mio corpo, mi seguì in quell’erotica danza dei sensi.
Accostai i gomiti di fianco la sua testa, prendendole il capo tra le mani; lei fece scorrere le mani prima sulla schiena, poi verso i glutei.
Era terribilmente eccitata e mi conficcò le unghie nella pelle ardendomi di eccitazione.
Mi baciò sul collo e la cosa mi mandò su di giri ed io le mormorai :“…mordimi.”
Lei rispose : ”Co-cosa?!”.
Io ribattei: “Ho detto: MORDIMI!”
Lei mi diede un morso degno di una lupa ed io non avvertii dolore, ma un piacere immenso che fu una gradevole folgorazione verticalizzata verso la mia massa cerebrale.
Io scivolai in una sorta di trance sessuale, per cui accrebbi al massimo la frequenza di movimento del mio bacino e l’orgasmo che ne sgorgò, mi abbatté soavemente.
Non riuscii a contenere un urlo e al termine di tutto questo ciclone, le franai completamente addosso.
Con le ultime forze rimastemi, sfilai il pene e restai ozioso a godermi il dolce sfioramento delle sue carezze sul mio corpo.
Ero in un momento di tale euritmia che se qualcuno avesse tentato di freddarmi, non sarei riuscito ad opporre resistenza. Se non altro, dopo un orgasmo del genere, avrei camminato verso il regno dei morti fischiettando impettito.
Mi sollevai e lei corse in bagno con le mani sotto la vagina, accompagnata da una serie di umidi brontolii uterini.
Ci rivestimmo e tutto sembrava andare bene, finché non le arrivò un SMS: ella restò ghiacciata di fronte allo smartphone e vederla rattrappire con il palmo di una mano stretto sulla bocca, non prometteva niente di buono.
Lei ripose il telefono su un tavolo e guardandomi disse: “Scusa, non voglio sembrare stronza e cacciarti, ma ho un po’ di faccende da sbrigare.”
L’ estemporanea glaciazione formatasi nella stanza era dura da sostenere, per cui le risposi : “D’accordo, ma va tutto bene?” e lei annuì con un sorriso finto come un Rolex cinese.
Sapevo tradurre troppo bene il linguaggio non verbale femminile e le si leggeva in viso che qualcosa di agghiacciante la stava inquietando.
Quello che si era verificato non era l’improvviso cambio d’ umore di una dissennata, ma un’ acuminata stilettata nel petto da far perdere il sonno.
Io me ne andai irrequieto invitandola a farsi sentire ed a chiedere aiuto in caso le servisse qualcosa.
Disgraziatamente in tutta la mia inconsapevolezza, non potevo immaginare quale crudele assillo torturava da tempo le giornate di Giulia.
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Ero quasi certa di averla finalmente fatta franca; supponevo di aver seminato il mio ex marito Fabio e di poter vivere senza sobbalzare al suono dell’ennesimo furioso sms in arrivo sullo smartphone.
Come al solito ho sottovalutato le sue risorse: quel suo detestabile amico della polizia postale deve averlo aiutato nel rintracciarmi in cambio di qualche regalino marchiato Gaston Glock.
Fabio non è un banale squilibrato come tanti, è purtroppo anche un armaiolo: ha sempre adorato le armi quanto le donne, o sarebbe più corretto dire, ha sempre adorato il sesso quanto le armi. Noi donne per lui non siamo persone, ma proprietà della sua contorta, vanesia e dominatrice mente di stalker.
Mi innamorai di lui che eravamo ventenni, ottusamente affascinata dalla sua mal calibrata mascolinità.
Vendetti la mia libertà ad un pazzo che si attizzava nel reggere oggetti che erano prolungamenti del suo stesso pene , amuleti virili che lo rendevano un semi-dio che fantasticava di decidere della vita o della morte di altri suoi simili.
La sua sicurezza, l’eleganza nel vestire e il suo fisico statuario di maschio alfa, mi stregarono a tal punto che lasciai il mio pacifico fidanzato di allora.
Lui era uno studente di medicina ,un bel ragazzo impacciato con il naso sempre sui libri, che io scaricai inclemente condannandolo a farsi divorare dalla sofferenza .
Purtroppo, adoravo fare sesso con Fabio: essere stritolata sotto di lui dal suo peso nonché toccata rudemente da quelle enormi mani forti , erano come eroina per un tossicomane.
Amavo il suo respiro quasi ferino sul mio collo quando, dopo qualche bicchiere di vino al ristorante, una volta rientrati a casa mi scopava semi-svestita contro un muro del corridoio di ingresso di casa.
Non mi resi conto che avevo inconsapevolmente stretto un patto con il diavolo: sentirmi tanto protetta ed eccitata da tutta quella maschia energia, era una grande pisciata contro vento.
Ero una Doktor Faust in gonnella, frodata dagli inganni del piacere carnale e dalla vita agiata che Fabio mi offriva.
(continua)

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.Orchidea elvetica – seconda parte.

…che non arrivò. Lei aprì le portiere dell’auto spalancandone una che dava sui sedili posteriori e mi disse “Ti va di stare più comodi?”.
Il parcheggio era piuttosto isolato, ma abituato alla strana fauna delle adiacenze di casa mia, dove tribù autoctone in cocaina cercano battaglie taglienti o gestiscono strani commerci, non ero minimamente teso. L’unica vera preoccupazione al contrario andava alla polizia, perché purtroppo gli “atti osceni” sono socialmente meno accettabili della violenza.
Ricominciammo a baciarci, ma avevo voglia di posare la bocca da un’altra parte. Le strinsi il seno tra le mani e le baciai quel poco di pelle che restava scoperto per la camicetta. Volevo succhiarle i capezzoli, per cui sbottonai lentamente fino a scoprirle il petto che era rinchiuso tirannicamente in un reggipetto nero.
Le scostai la coppa di sinistra, dove una deliziosa e rosea areola sporgente calamitò la mia bocca che ci si posò sopra, lasciando che la mia lingua irrequieta mandasse in tilt i suoi centri neuronali del piacere. Lei gemeva respirando affannosamente e stringendo con forza la mia testa contro di sé.
Passai dall’altra parte facendo la stessa cosa e la lasciai a seno scoperto per poi tornare a baciarla nuovamente, sfregando nel frattempo una mano tra le sue cosce.
Lei inarcava la schiena, strinse un po’ le cosce sulla mia mano e iniziò a serrare le dita dei piedi contro le suole dei sandali. Quel che stavo per fare era puro arrischio, ma giunti a quel punto dubitavo che mi bloccasse: le sbrogliai il cordino che le allacciava i pantaloni e iniziai ad calaglieli. Lei non fece opposizione, ma mi chiese “…cosa vuoi fare?” e io le risposi: “ Voglio assaggiare e sentire il profumo della tua orchidea.”
Lei replicò: “Nella mia vita l’ho sentita chiamare in tanti modi, ma mai in modo così botanico!”
Scoppiammo a ridere e ci baciammo;successivamente ella si mise scalza e divaricò le gambe. Io portai la testa tra le sue cosce e lambii vorace il suo clitoride: la sua “orchidea” traboccava di rugiada e il suo odore intenso, ma gradevole, accresceva in maniera esponenziale la mia eccitazione. I suoi piedi poggiavano sulle mie scapole e le sue mani spingevano sulla mia nuca verso il suo corpo. Con l’aumentare del godimento, lei spostò i palmi dalla mia testa e dopodiché, afferrò la tappezzeria del sedile affondandoci le dita con forza.
Quando l’orgasmo si fece strada dentro di lei, si contrasse e spalancò la bocca ansimando come una persona appena riemersa dall’acqua.
A quel punto si rilassò e con un filo di voce esclamò: “Ok, basta…sei stato bravissimo. Aspetta un attimo…”
Lei sistemò rapidamente i suoi abiti e mi sbottonò la camicia, baciandomi energicamente. Passò le sue mani sul mio torace, soffermandole sui pettorali e stringendoli con forza. Successivamente mi strinse entrambi i capezzoli tra pollici e lato degli indici, per poi leccarne uno e terminando con un morso attorno ad esso. Mi sfilò interamente la camicia lasciandomi a dorso nudo, mi abbassò completamente i pantaloni e i boxer neri sino alle caviglie.
Prese in mano il pene la rigidità di esso era quasi irreale. Lei restò a contemplarlo e avvertivo che il mio scroto inturgidito stava sopra il palmo di una delle sue mani calde. Dal meato sgorgava liquido di Cowper e lei scoprì il glande: mi stuzzicava essere nelle sue mani e restai inerte attendendo smanioso che facesse qualcosa. A quel punto poggiò un polpastrello sul meato inumidendolo di secrezione e se lo mise in bocca, come a degustare qualcosa di saporito. Ricoprì il fallo e tenendolo alla base, lo mise in bocca e iniziò a succhiarlo golosamente. Vedere la sua testa alzarsi ed abbassarsi e sentire i suoi capelli di seta sulle mie cosce, era benzina sulla mia libido ardente . Con quel pompino sembrava ingordamente intenzionata a farmi avere un orgasmo. Le dissi recuperando il fiato di tanto in tanto: “…se vai avanti così, credo durerò poco!” e lei staccandosi e continuando a muovere la mano su e giù, ribatté: “Non aspetto altro!”.
Ero arrivato al limite e il mio cazzo era una sensibilissima antenna sessuale che captava tutto il piacere che lei mi trasmetteva. Sentii la prostata contrarsi e in seguito percepii che il liquido pre-cum veniva spruzzato freneticamente all’interno della sua bocca. Quando giunsi all’eiaculazione, ebbi un orgasmo inaudito, che si protrasse oltre una decina di secondi e la quantità di sperma che produssi speravo non la facesse star male. Un torrente orgasmico in piena mi aveva investito togliendomi il respiro; reclinai il capo all’indietro e i glutei si contrassero con forza. L’encefalo era, seppur per pochi secondi, oltrepassato da una tale sensazione di piacere da farmi approssimare ad un Nirvana carnale. Solo il sesso riusciva a farmi raggiungere tale estasi, annullando in un breve istante qualsivoglia pensiero, angoscia e sentimento negativo. (continua)